Dalla resistenza alla resilienza: promuovere benessere nei luoghi di lavoro - gennaio 2020

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Lo sviluppo del costrutto di resilienza

Non è infrequente trovare nel vocabolario psicologico termini mutuati da domini linguistici propri delle discipline fisiche, tecnologiche ed economiche. Attraverso un’efficace metafora, i loro significati e le loro applicazione sono stati estesi in campo psicosociale
La parola stress, come ricordato in un precedente articolo, nel lessico anglosassone ha una origine tecnologica attraverso la quale si descrive l’azione di una forza che deforma un corpo.
Viene invece dalla fisica il termine resilienza, recentemente entrato a far parte del linguaggio psicologico, sociologico ed economico,che individua semanticamente l’antidoto allo stress.
Il termine - dal latino resiliens, resilire, rimbalzare, re-salire, saltare indietro, si utilizza con riferimento alla capacità di un materiale di resistere a un urto improvviso e di sopportare sforzi applicati bruscamente, senza spezzarsi e senza propagare incrinature.
Negli atteggiamenti umani, sin da tempi remoti, sono state individuate analoghe caratteristiche: nel motto classico "frangar non flectar", mi spezzo ma non mi piego, rappresentava la rigidità di principi, ma spesso anche di comportamenti e di schemi d’interpretazione della realtà, come una virtù eroica, destinata però a soccombere, a spezzarsi, sotto l’urto di forze prevalenti. Per richiamare la metafora dei materiali, il purissimo cristallo, assolutamente indeformabile in condizioni costanti, evidenzia nello stesso tempo una fragilità estrema a ogni urto.
L'individuo resiliente invece sul piano psicologico è un ottimista molto motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato, è incline a interpretare i cambiamenti come una sfida e come un'opportunità piuttosto che come una minaccia.
Persone come queste hanno riconosciuto l'impossibilità immediata di cambiare il corso degli eventi, non hanno subito con rassegnazione mentre hanno creduto nelle loro capacità di generare nuove potenzialità. Esemplari dimostrazioni di resilienza le hanno offerto Mara Selvini Palazzoli, famosa psichiatra italiana a livello internazionale e Frida Kahlo, una delle più grandi artiste messicane, che dopo l'amputazione del piede, scrive nel suo diario: "Che bisogno ho dei piedi, se ho le ali per volare?"
A tale proposito è utile ricordare le cinque componenti che sviluppano la resilienza:
L’Ottimismo. La disposizione a cogliere il lato buono delle cose, è un’importantissima caratteristica umana che promuove il benessere individuale e preserva dal disagio e dalla sofferenza fisica e psicologica. Chi è ottimista tende a sminuire le difficoltà della vita e a mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi (Seligman, 1996).
L’autostima si accoppia all’ottimismo. Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore e amarezza, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi.
La Robustezza psicologica (Hardiness). Essa è a sua volta scomponibile in tre sotto-componenti:
il controllo, la convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante, mobilitando quelle risorse utili per affrontare le situazioni),
l’impegno con la chiara definizione di obiettivi significativi che facilita una visione positiva di ciò che si affronta e la sfida, che include la visione dei cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze.
le emozioni positive, in altre parole il focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca.
il supporto sociale, definito come l’informazione, proveniente da altri, di essere oggetto di amore e di cure, di essere stimati e apprezzati. E’ importante rilevare come la presenza di persone disponibili all’ascolto sia efficace poiché mobilita il racconto delle proprie sventure. Raccontare è liberarsi dal peso della sofferenza, e l’accoglienza gentile e senza rifiuti o condanne da parte degli altri segnerà il passaggio da un racconto tutto interiore, penoso e solitario (che può sfociare in forme di comunicazione delirante) alla condivisione partecipata dell’accaduto.

Resilienza organizzativa

In questo periodo la resilienza organizzativa è diventato un termine chiave nel presente dibattito manageriale: in effetti nulla è così indicato rispetto ai tempi di crisi attuali
La crisi, dal verbo greco krino : separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare per definizione, è un evento straordinario il cui accadimento produce un effetto negativo sulle attività e sulla reputazione delle organizzazioni.
Riprendendo le "sette fasi della crisi" teorizzate da Mitroff e Pauchant, dopo i momenti di allarme, paura, impatto e bilancio, si passa alle fasi di salvataggio, rimedio e ripristino.
Obiettivo finale: mettere a punto, applicare strategie e tattiche che possano prevenire o modificare l'impatto di eventi critici sull'organizzazione.
Alcune aziende sono già uscite "vincenti" dai crolli ,o addirittura non ci sono neanche entrate) grazie a validi strumenti di crisis management, centrati sul change management e sulla gestione efficace delle risorse umane.
Nel 2009 quasi la metà delle società di capitali italiane ha dichiarato al Fisco di essere in perdita: 419.000 vs. le circa 520.00 in attivo (Fonte: Ministero dell'Economia, Dipartimento delle Finanze).
Per gli ani successivi il 25% delle imprese ha previsto un calo dei propri investimenti e il 36% delle imprese ha ipotizzato una riduzione di occupazione.
Le aziende hanno addotto le seguenti motivazioni: diminuzione inattesa della domanda, fattori finanziari, clima d’incertezza che continua a caratterizzare l'attuale situazione economica (Fonte: Banca d'Italia).
Nonostante la crisi , o forse a causa della crisi, nei mesi di luglio, agosto e settembre 2009 si sono iscritti al Registro delle Imprese 79.488 nuove ditte, contro 61.314 che hanno chiuso i battenti nello stesso periodo, con un saldo certamente attivo, pari a 18.174 unità. (Fonte: Unioncamere)
La speranza e l'attesa per i prossimi anni sono una ripresa che potrà portare a un miglioramento costante e duraturo.
Doveroso è trarre degli insegnamenti da ciò che è accaduto, per comprendere a fondo se e come si sarebbe potuto affrontare meglio la crisi, riuscendo, magari a limitare i danni.
Le aziende uscite "vincenti" sono riuscite ad affrontare gli ostacoli imprevisti attraverso processi e procedure di gestione efficaci. Queste aziende "sane" non subiscono le difficoltà causate da fattori esterni bensì si adeguano a esse, grazie all'individuazione delle leve gestionali migliori per una rapida gestione del cambiamento.
I cambiamenti richiesti possono essere realizzati grazie ad un'oculata gestione delle risorse umane a disposizione.
Si può affermare che le aziende sono "sane" quando esiste una condizione di "Benessere" condiviso che supera la definizione fornita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità ("Il Benessere è la promozione, il miglioramento e il mantenimento della qualità della vita da un punto di vista fisico, psichico e sociale").
Le aziende realmente "sane" non si focalizzano solo su singoli interventi migliorativi che possono migliorare la vita ai dipendenti.
Il genere di benessere che caratterizza queste aziende è un vero e proprio "Benessere Organizzativo", che coinvolge il sistema-azienda nella sua totalità al fine di poter definire quegli interventi che possono essere funzionali non solo alle singole persone ma, appunto, all'intera azienda.
In tal senso, il "Benessere Organizzativo" può essere definito come una strategia aziendale finalizzata a garantire le migliori condizioni e situazioni di lavoro, tali da essere sicure, stimolanti, gratificanti e piacevoli per tutti i dipendenti.
Altrettanto vero è che succede frequentemente che esistano situazioni di disagio diffuso a fronte della mancanza ,reale o apparente, di fattori oggettivi di stress.
In quest'ultimo caso, non esistendo una causa oggettiva al malessere diffuso, l'azienda spesso ritiene che non sia di propria competenza farsi carico del problema, dimenticandosi il rischio di precipitare nel circolo vizioso spiegato sopra, il quale causa condizioni di "Malessere Organizzativo”.
Il concetto di resilienza organizzativa indica sia la capacità di resistere a eventi distruttivi che alcune aziende dimostrano, sia la capacità delle organizzazioni stesse di promuovere nei propri membri competenze di resilienza. La parola è strettamente legata a concetti come salute psicologica, benessere organizzativo, adattabilità, sostenibilità e produttività.

La resilienza può divenire una qualità diramata in un’Organizzazione, una caratteristica dell'Organizzazione stessa.
Affinché un’azienda sia resiliente, lo devono essere per prime le persone che vi lavorano. Occorre istruire e responsabilizzare i manager a coltivare tale qualità nel proprio gruppo di collaboratori.
Essere resilienti significa in fondo anche rimanere altamente produttivi anche nelle turbolenze e nelle difficoltà, significa capitalizzare esperienze e far tesoro di esse come anche dei propri errori, compresi e corretti, per guardare avanti con energia, fiducia nei propri mezzi e voglia rinnovata di superare positivamente nuove sfide, utilizzando un semplice schema di comprensione del contesto e di valorizzazione delle proprie risorse
La mancanza di attenzione ad aspetti specifici di comunicazione, coinvolgimento, ri-orientamento e ri-motivazione può pregiudicare o indebolire o rendere meno tempestivo il raggiungimento degli obiettivi prefissati; viceversa, iniziative esplicitamente o implicitamente portate a termine ad agire sui fattori chiave della resilienza personale e organizzativa, tempestivamente realizzate, favoriscono e accelerano tale raggiungimento di obiettivi preservando nel contempo il livello di benessere organizzativo per le risorse interessate.
Costruire, far crescere, la resilienza personale di strati sempre più ampi della popolazione aziendale, istruire e responsabilizzare i managers a coltivare tale qualità nel proprio gruppo di collaboratori, significa costruire, far crescere e rafforzare il grado di resilienza organizzativa della propria azienda, fare di essa un’azienda resiliente, in grado cioè di essere flessibile e forte di fronte alle turbolenze e alle criticità del mercato.

Resilienza organizzativa: istruzioni per l’uso

Come aiutare le organizzazioni a rispondere più efficacemente alle avversità e a costruire maggiore resilienza e adattabilità per il futuro?
Alcuni spunti:

  • Anticipare e riconoscere la realtà. Essere informati sul contesto esterno e prendere consapevolezza della propria realtà organizzativa, per individuare le direzioni in cui muoversi.

  • Ascoltare e narrare storie di resilienza. L’autoconsapevolezza è uno degli strumenti più potenti. Pensare a come sono state affrontate in passato le avversità e raccontarlo ai propri collaboratori è essenziale per promuovere la resilienza organizzativa.

  • Incoraggiare e premiare l’innovazione e il problem solving creativo. È il momento di incoraggiare pensieri e idee non convenzionali e fare in modo che tutti possano esprimere le proprie opinioni e prospettive.

  • Mantenere un focus esterno. In momenti di crisi c’è il rischio di chiudersi a identificare i margini di miglioramento interno perdendo preziose opportunità per rispondere efficacemente alle mutevoli condizioni del contesto e del mercato
    È questo il motivo per cui la Direzione HR diventa assolutamente strategica per l'intera azienda: è infatti in grado di fornire una soluzione completa, esaustiva e "sistemica", non limitandosi ad azioni di "cura estrema" dopo che i sintomi della "malattia" sono esplosi in modo virulento, ma innestando quei circoli virtuosi che permettono un'azione di "prevenzione primaria", prima ancora che si affaccino i primi sintomi.
     

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