Dentro il pianeta No-VAX: la fiducia nella cura e la cura della fiducia - novembre 2021

Per comprendere e per convincere i No-VAX bisogna indagare i motivi psicologici alla base del rifiuto.

«Il vaccino è un veleno»; «Scagliati nel terrore dai folli deliri di una stampa impazzita, migliaia di persone corrono verso le falsità dei vaccinatori»; «Oltraggio alla libertà personale: lavoratori e donne costretti a essere vaccinati!»; «Le persone sono forse così codarde e povere di spirito e indipendenza da sottomettersi docilmente a questa disprezzabile tirannia dei dottori?».
Un No-VAX terrorizzato dal vaccino anti-Covid-19? No, citazioni da un pamphlet diffuso nel 1885 nella città canadese di Montréal.
L’antivaccinismo, infatti, è antico come i vaccini.
Un anno dopo il Vaccination Actdel 1853, che nell’Inghilterra vittoriana rendeva obbligatoria la vaccinazione contro il vaiolo per tutti i bambini entro i primi tre mesi di vita, veniva pubblicato il manifesto “Le nostre libertà mediche”, che fin dalle prime pagine denunciava come la legge volesse rendere le persone «schiave della professione medica» ed elencava molti classici della disinformazione sui vaccini ancora attuali: i vaccini non sarebbero stati efficaci e la maggioranza dei casi di vaiolo accadrebbe tra i vaccinati, il vaccino peggiorerebbe la malattia, ci sono stati decessi dopo il vaccino, e così via.
Nel 1867, quando fu esteso il Vaccination Act del 1853, obbligando alla vaccinazione contro il vaiolo tutti i minori di quattordici anni, gli antivaccinisti formarono quasi immediatamente una Lega Contro la Vaccinazione Obbligatoria.
Tra gli antivaccinisti all’epoca c’erano anche scienziati celebri. Come Alfred Russel Wallace, che ipotizzò l’evoluzione per selezione naturale assieme a Charles Darwin e l’epidemiologo Charles Creighton. Quest’ultimo argomentava che la vaccinazione fosse uno «sporco avvelenamento del sangue con materiale contaminato» e che Edward Jenner, colui che sviluppò le prime vaccinazioni contro il vaiolo, non fosse che un truffatore avido di denaro.
Alla base di quest’opposizione c’erano due fattori. Il primo, un sottobosco di medicine alternative non molto diverso dall’attuale, con omeopatia, spiritualismo, guarigione naturale e idroterapia in contrasto con la medicina ufficiale.
Il secondo, le ideologie concentrate sulla libertà personale secondo cui «se anche la vaccinazione fosse la più grande benedizione, non sarebbe dovere dello stato forzarla».
Alla base del fallimento di queste campagne c’è l’idea che le convinzioni anti-vaccinali si basino sulla mancata conoscenza o sulla mancata comprensione dei dati, la credenza che gli atteggiamenti si costruiscano sulle prove e sulla razionalità.
Spesso per chi ha fiducia nella scienza e nella medicina l’atteggiamento dei No-VAX può sembrare incomprensibile e altrettanto spesso, da medici e scienziati, è derubricato a mancanza di cultura o intelligenza.
In realtà quello del rifiuto nei confronti dei vaccini è un fenomeno molto complesso e articolato, le cui motivazioni non sono tutte uguali, non sono riducibili alla semplice mancanza di cultura scientifica e possono cambiare anche nel corso del tempo per una stessa persona.
Un modo più efficace per sostenere il cambiamento è identificare i motivi psicologici alla base dell’atteggiamento di rifiuto della vaccinazione e adattare gli interventi comunicativi, in modo da renderli coerenti con le motivazioni profonde che portano le persone allo scetticismo.
Da decenni, la psicologia ci insegna che le persone sviluppano gli atteggiamenti attraverso intuizioni, emozioni e “risposte viscerali” spesso difficili da articolare.
La ricerca in psicologia rileva quattro “radici profonde” degli atteggiamenti che sottostanno alle credenze e ai comportamenti anti-vaccinali: le credenze cospirative, per cui le persone sono portatrici di una “visione cospirazionista” del mondo, quindi la convinzione che reti nascoste d’interessi cercano di orientare malevolmente la massa, sforzandosi di mantenere segreti dati rilevanti; la sensibilità al disgusto, per cui alcune paure o vere fobie possono essere alla base di credenze antiscientifiche (ad esempio, gli individui che hanno reazioni di ribrezzo per il sangue, gli aghi, gli ospedali, la sofferenza fisica possono sviluppare atteggiamenti che permettano loro di evitare i fattori scatenanti della loro paura); la reattanza, la tendenza delle persone ad avere una bassa tolleranza per le violazioni delle loro libertà, a tal punto che chi è portato a rappresentarsi come anticonformista e libertario può essere motivato a rifiutare opinioni che ritiene massificate proprio per comunicare a sé e agli altri la sua identità; la visione individualistica del mondo, per cui gli individui pensano che sia meglio che ogni soggetto prenda le decisioni per se stesso, da qui l’immunizzazione di massa viene vista come un’iniziativa eccessivamente intrusiva da parte dei governi sulla vita dei singoli.
La fobia antivaccinista del “contagio inverso” da vaccino è tanto più alta quanto più alti sono i pensieri complottisti; la credenza sullo “spargimento virale” è, inoltre, accompagnata da una alta resistenza psicologica a non eseguire ordini e obblighi che provengano da persone molto vicine, ma anche da parte dello Stato, che in qualche modo possono esercitare un controllo ledendo la libertà di ciascuno. Le persone con alta reattanza, compiono azioni perfino contro il proprio interesse poiché l’unica cosa che conta è appunto resistere a ogni costo: tale meccanismo non è controllabile e si attuata a livello subcosciente.
Controproducente cercare di ridurre il pensiero cospirativo opponendovisi in maniera diretta.
Piuttosto, se si accetta di confrontarsi con la visione del mondo che sottende questo pensiero, si può riconoscere la possibilità che esistano complotti e al contempo mostrare come possano esserci interessi consolidati e non dichiarati orientati proprio a oscurare i benefici delle vaccinazioni e a esagerarne i pericoli.
Allo stesso modo, può non essere possibile ridurre i livelli di reattanza delle persone ma è possibile far loro rilevare che i movimenti anti-vaccinali esercitano una forte pressione sul conformismo di gruppo, scoraggiando proprio la loro libertà individuale.
Per coloro che partono da una difficoltà con l’esposizione al sangue, all’ospedalizzazione e al dolore, l’evitamento della vaccinazione è una strategia di riduzione dell’ansia a breve termine ma si può incidere sull’atteggiamento anti-vaccinale accogliendo i loro timori e rappresentando le conseguenze della malattia in termini di ospedalizzazione e sofferenza.
Da non sottovalutare tra gli aspetti psicologici la propensione all’ansia. Più le persone sono in ansia a causa della Covid-19, o hanno avuto una reazione depressiva in seguito alle misure di contenimento, più sono esitanti verso i vaccini. È quella che in psicologia è riconosciuta come la ”sindrome del bambino scottato”: chi era già in ansia per la situazione precedente poi ha timore anche del vaccino, specie se influenzato da notizie diffuse dai media sui presunti effetti collaterali.
E anche con chi porta una visione individualistica del mondo si può argomentare accogliendo il dubbio sulla misura opportuna dell’invadenza dello Stato e, al contempo, rilevare i benefici sociali ed economici conseguibili, per l’individuo, attraverso la vaccinazione.
Un dato che ritorna in pressoché tutti gli studi sull’esitazione vaccinale è che il principale fattore in gioco è la fiducia nel sistema sanitario e nella ricerca scientifica, considerata come istituzione ufficiale. La fiducia nella scienza in Italia è mutata durante la pandemia, all’inizio era molto alta, perché era vista come l’unica prospettiva di una soluzione, per poi scemare in seguito a causa dei toni e delle dichiarazioni contraddittorie di vari scienziati sui media, percepiti quindi come poco coerenti.
Un problema che si può risolvere, solo creando una relazione di affidamento tra il pubblico e degli interlocutori scientifici affidabili. Cosa che finora in Italia non ha funzionato, forse perché anche scienziati di per sé blasonati hanno alimentato la distanza tra il pubblico e la scienza, mentre viceversa alcuni divulgatori scientifici si sono fatti carico del vuoto comunicativo e sono riusciti a creare una relazione umana con il pubblico. C’è stata una fortissima assenza comunicativa dei canali istituzionali, come l’Istituto Superiore di Sanità o il Ministero della Salute, che solo ora stanno provando a rilanciarsi sui social e a creare una relazione di fiducia col pubblico.
La formula epistemic trust, fiducia epistemica, aiuta a riflettere sul rapporto di fiducia tra comunità e informazione scientifica", dice lo psichiatra, psicoanalista e docente alla Sapienza Vittorio Lingiardi: "C'è una fase dello sviluppo in cui si forma la fiducia nell'autorevolezza delle figure che forniscono informazioni. Questo rapporto, come succede oggi, può contenere elementi di sfiducia. La paura nei confronti della cura è una delle ambivalenze e dei misteri del funzionamento della nostra mente.
La psicologia può dare un contributo importante in quest’ ambito. Prima di diffondere a gran voce i motivi a favore del vaccino bisogna mettersi in ascolto e comprendere le ragioni che alimentano le preoccupazioni e i dubbi delle persone: anche in una situazione di crisi è importante – prima di agire – creare tempo e spazio per la comprensione e il dialogo. Uno spazio in cui le istituzioni, gli operatori sanitari, i pianificatori della campagna vaccinale possano non solo “proporre” la loro soluzione, ma anche rispondere ai dubbi e alle paure che animano le emozioni della popolazione. Questo spazio può essere costituito anche – semplicemente – dal canale metodologicamente strutturato di una ricerca psicosociale continua, che possa misurare i”sentimenti” della popolazione e fare da “mediatore culturale” tra cittadini-utenti e tecnici-erogatori della campagna vaccinale. Solo una comunicazione calibrata e personalizzata sulla base della comprensione profonda dei motivi psicologici di esitanza può aiutare davvero le persone a sentirsi ascoltate e valorizzate come protagoniste nella lotta contro la pandemia in corso. E quindi sostenerne la motivazione alla vaccinazione.
 

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