Ragazzi interrotti - marzo 2022
Quando la vita normale stava piano piano riprendendo, sia
pure sotto la spada di Damocle della «ondata» autunnale del Covid, il conflitto
in Ucraina ha fatto prepotentemente irruzione nelle nostre case, aggiungendosi e
sovrapponendosi all’eco mediatica della pandemia.
In tv, sui telefonini, sui computer e i tablet è stato inevitabile entrare in
contatto con immagini di esplosioni, feriti e morti, ma anche con immagini di
bambini impauriti e infreddoliti in fuga con i genitori o terribilmente
massacrati.
Un ruolo importante lo stanno giocando media e social che evidenziano il
conflitto in maniera ripetitiva. Non che non debba esserci informazione ma il
bombardamento mediatico e la ripetizione continua delle immagini della guerra
producono stati d’animo che accrescono situazioni di disagio psicologico in modo
significativo. Un conto è l’informazione, un conto la spettacolarizzazione.
Gli adolescenti in particolare seguono costantemente questo flusso
d’informazioni che alimenta ansie e preoccupazioni, e contribuisce a far
persistere poi uno stato continuo di pensieri e sensazioni negative. Il cervello
umano ogni volta che vede immagini di violenza, le immagazzina in una sorta di
traccia mnestica che rimane in memoria per molto tempo. É quindi importante che
gli adulti cerchino di stabilire un limite d’esposizione a notizie e TG e si
affidino a fonti serie e ufficiali per non cadere in una visone del futuro
catastrofica, oltre il dovuto.
Per motivi sanitari o per “ragioni” di politica internazionale, i ragazzi
continuano a vedere minata la propria stabilità in termini di salute fisica, di
benessere emotivo e anche di progettualità. Il ritorno a scuola, in presenza,
aveva finalmente iniziato a far riprendere quella meravigliosa socialità
adolescenziale che era rimasta ibernata per due anni: confronto, assemblee,
manifestazioni e protesta, quando serve, ma anche semplici chiacchiere tra amici
e compagni.
Per tutti gli studenti di città diverse, di provenienze e origini familiari
diverse a scuola o fuori scuola, la guerra, con le possibili o ipotetiche
conseguenze, è costante argomento di conversazione. La voce è una sola e i
sentimenti sono gli stessi: paura, rabbia, incredulità.
Paura, perché chi può garantire che la guerra rimanga circoscritta lì dove è?
Una paura di tipo diverso rispetto al Covid, ma altrettanto insidiosa, perché la
guerra, è un archetipo, contiene la paura più grande dell’essere umano, quella
della morte.
Incredulità, perché quante volte, proprio in questi due anni, si è paragonata la
pandemia alla guerra del XXI secolo teorizzando che, almeno alle nostre
latitudini, non era più stagione di guerre old style.
Rabbia perché, come sostengono molti ragazzi, è un altro pezzo di adolescenza
che è sottratta, non solo per il timore che la guerra possa arrivare fin qui, ma
perché è comunque una tragedia che toglie serenità e ottimismo.
Negli ultimi mesi circa 1 adolescente su 3 ha sentito come emozione dominante la
rabbia. E per il 15% è stato un sentimento addirittura fortissimo, quasi
irrefrenabile. Il 47% degli intervistati collega la rabbia a quanto sta
accadendo all'esterno ma anche a un'insoddisfazione verso se stessi. Il dato è
del 50% tra le ragazze tra i 17 e i 19 anni e del 38% tra i coetanei maschi. É
probabile che le ragazzine riescano a parlare ed esprimere con più facilità le
loro emozioni(portale Skuola.net )
L’aspetto più preoccupante è che bambini e adolescenti stanno assorbendo il
clima di angoscia che ormai si protrae da più di due anni. La guerra sta
esponendo ulteriormente i nostri ragazzi a una condizione di stress continuativo
e collettivo che riguarda anche i genitori, gli insegnanti, tutte le figure che
ruotano loro intorno. Questo ne mette a rischio il benessere psicologico, non
solo a breve ma anche a lungo termine.
La conseguenza più comune è la fatica emotiva che si presenta, innanzitutto, con
un umore altalenante, molto nervosismo, depressione, ansia ,disturbi del sonno,
dell’alimentazione e delle relazioni.
Sono gli stessi giovani a non nascondere di aver bisogno di supporto. Anzi, lo
chiedono a gran voce: il 58% andrebbe di corsa dallo psicologo se potesse
permetterselo o se le sedute fossero gratuite.
Se si chiede alle ragazze tra i 17 e i 19 anni la platea sfiora quota 70%,
mentre i coetanei maschi sembrano aver metabolizzato meglio le difficoltà di
questi periodi , visto che "solo" una metà scarsa di loro (48%) si rivolgerebbe
immediatamente a uno psicologo se gli fosse offerto.
Leggermente più in difficoltà i ragazzi soprattutto piccoli: nella fascia 14-16
anni sfrutterebbe l'occasione il 56%; anche qui, però sono le ragazze a
mostrarsi più ricettive, con oltre il 60% che parlerebbe volentieri con uno
specialista.
E il problema sta proprio nel fatto che non tutti gli adolescenti possono
accedere a un servizio di supporto psicologico privato e il Servizio sanitario
nazionale non riesce a rispondere a una domanda sempre più crescente. Serve una
battaglia civile per far comprendere a chi ci governa che mai come in questo
momento per dare un futuro ai nostri ragazzi bisogna investire nel loro
benessere psicologico.